Cari Colleghi,
di seguito Vi propongo una questione delicata che mi accingo ad affrontare, caratterizzata da interessanti profili problematici e da rarissime elaborazioni giurispudenziali. (Inoltre, trattasi purtroppo di fattispecie assai diffusa che, sovente, si risolve a danno della parte debole).
Tizio compra un biglietto aereo con la compagnia Alfa Ltd - compagnia aerea di diritto inglese - per un viaggio da una città italiana ad una città estera. Lui arriva a destinazione. Il bagaglio no. Solo tre settimane dopo, il bagaglio viene rinvenuto presso l’aeroporto della città italiana di partenza. Tizio, che nel frattempo ha sopportato spese consistenti per rifarsi il guardaroba, decide di promuovere azione di risarcimento danni nei confronti della compagnia inglese.
La fattispecie in esame è disciplinata dalla Convenzione di Montreal 1999 sul trasporto aereo. In particolare, l’art. 19 ricorda che il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Ex art. 22.2, nel trasporto di bagagli, la responsabilità del vettore in caso di perdita è limitata alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo (come già saprete, il DSP è l’unità monetaria utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale; 1000 DSP equivalgono circa a € 1100).
Ciò premesso, il punctum pruriens consiste nell’individuazione del foro competente, atteso che Tizio vuole radicare la causa in Italia.
L’art. 33 della Convenzione stabilisce che “l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti, o davanti al tribunale del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al tribunale del luogo di destinazione”. Esistono, quindi, 4 criteri di scelta per individuare la competenza territoriale.
Posto che Alfa Ltd è società con sede legale a Londra e, in Italia, esiste solo una sede secondaria con funzioni amministrative, mi domando se il “domicilio del vettore” possa identificarsi nella sede secondaria italiana. In merito, sono tendenzialmente scettico. E’ anche vero, però, che il legislatore ha posto, in via alternativa, il foro del “domicilio del vettore” e il foro della “sede principale della sua attività”, quasi volesse distinguere la sede legale da eventuali sedi secondarie..... tuttavia, resto dell’idea che il domicilio sia dove la persona giuridica decide di imputare il centro dei propri affari e, quindi, non può che identificarsi nella sede legale della compagnia inglese.
Osservando poi il terzo criterio di scelta, la questione si complica ulteriormente. Il contratto, infatti, è stato concluso mediante piattaforma telematica nel sito www.Alfa.com e il prezzo è stato versato con carta di credito.
Siamo quindi in presenza di un contratto telematico e, se ci si vuole avvalere dell 3° criterio disposto dall’art. 33 della Convenzione di Montreal, è utile individuare il luogo in cui il vettore possiede l’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto (traduzione un po’ infelice di “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made”).
In merito, è interessante leggere il seguente scritto di CERUTTI (Il contratto telematico, p. 58-60, 2006) circa il luogo di conclusione del contratto telematico. “La determinazione del luogo di conclusione del contratto telematico presenta notevoli difficoltà riconducibili alla circostanza che internet ed il cyberspazio non sono luoghi fisici, bensì semplici mezzi di comunicazioni. La determinazione del luogo di conclusione, tuttavia, assume particolare rilievo per individuare quale sia la legge applicabile ovvero, in presenza di controversia, quale sia il giudice territorialmente competente a conoscerla. L’individuazione del luogo deve essere distinta a seconda che il contratto telematico sia stato perfezionato mediante la pressione del tasto negoziale virtuale (point and click) ovvero mediante l’invio di una email. Nel primo caso, la dottrina prevalente ritiene che il contratto concluso mediante la pressione del tasto negoziale virtuale debba ritenersi perfezionato nel luogo ove si trova il computer che ha ricevuto gli impulsi elettronici contenenti l’accettazione e, dunque, solitamente ove il prestatore dei servizi esercita effettivamente e stabilmente la sua attività economica (anche se non va dimenticato che talvolta tale computer può essere collocato presso una società terza (cd service provider) che, verso corrispettivo, gestisce ed ospita nei propri server i negozi virtuali altrui”. Ritenete condivisibile simile tesi?? Prendendo come vera questa posizione, Tizio sarebbe fregato perchè il 3° criterio dell’art. 33 finirebbe per individuare il foro inglese.
Inoltre, la dir. 2000/31/CE sul commercio elettronico, al 19° considerando, recita che “il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. Se uno stesso prestatore ha più luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato il servizio in questione. Nel caso in cui sia difficile determinare da quale dei vari luoghi di stabilimento un determinato servizio è prestato, tale luogo è quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico”. Ciò mette ampiamente in discussione anche il concetto di domicilio del vettore.....
Residua però una speranza di salvezza. Ai sensi del D.Lgs. n. 185/99, qualora una delle parti del contratto telematico sia un consumatore, l’accordo dovrà intendersi inderogabilmente concluso nel luogo di residenza di questi. (Anche se potrei avere dei dubbi circa la qualificazione di consumatore in capo al viaggiatore aereo).
Non solo. parte della dottrina ritiene che, nel caso di negozio virtuale che richiede il pagamento del corrispettivo mediante comunicazione da parte dell’acquirente dei numeri della propria carta di credito – come nel caso di specie – possa applicarsi al commercio elettronico l’art. 1327 c.c., a mente del quale il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui l’accettante invia al proponente il modulo contente il proprio numero di carta di credito valendo tale atto quale esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo (PISCITELLI).
Tutto ciò detto, siamo proprio sicuri che con “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made” possa intendersi il luogo virtuale in cui Tizio ha comprato il biglietto materialmente? E soprattutto, siamo sicuri che io, davanti al Giudice di Pace, possa con successo presentare un ragionamento partendo dal dato letterale inglese del testo originale?? Perchè, a mio avviso, nel momento in cui il Giudice legge la traduzione italiana, che allude all’”impresa”, esclude a priori l’applicabilità alla fattispecie concreta, atteso che Alfa ltd. non possiede invero alcuna impresa che ha provveduto a stipulare il contratto.
La questione è complicata ma particolarmente interessante!
Diego