venerdì 22 ottobre 2010

Pignoramento presso terzi, bonifici e persistenza saldo negativo

Cari Amici,

stamane mi sono trovato a discutere una faccenda piuttosto singolare.

Ho sottoposto a pignoramento i conti correnti di un debitore della mia assistita.

La banca asserisce che vi siano 3 conti correnti e che su uno di essi, in data successiva al pignoramento, siano pervenuti € 100.000,00 di bonifici effettuati da soggetti terzi.
Asserisce tuttavia che detto conto presenta saldo tutt'ora negativo e che quindi i bonifici, che hanno colmato parte dell'esposizione, non sarebbero assoggettabili al vincolo pignoratizio.
Eccepisce inoltre che detti pagamenti sono pagamenti di crediti ceduti dal correntista alla banca con atto antecedente al pignoramento medesimo.

Ritengo io invece che i bonifici siano stati pignorati e ciò secondo il seguente ragionamento.
I bonifici sono somme provenienti al debitore da terzi, per il quale debitore la banca funge dapprima quale delegata all'incasso, poi come custode (per qualche attimo prima dell'accredito) e che solo in un secondo momento la banca "compensa" tramite annotazione nelle poste di conto.
Sulla scorta di ciò, avendo io pignorato anche le somme "detenute dalla banca" dovrei bloccare l'accredito prima che operi la compensazione. Non so se mi sono spiegato.

Quanto alla cessione del credito, eccepisco invece che mentre nella cessione la banca cessionaria indicava un conto specifico ove effettuare il pagamento, i debitore ceduto ha pagato invece presso il conto del cedente.
In pratica, ha pagato, ma ha pagato male.
La banca rimane debitrice e chi ha pagato per errore il cedente deve agire con l'indebito soggettivo.
Nel mentre però, l'accredito errato, resta pur sempre nella patrimonio del debitore pignorato e come tale viene bloccato.
Nè, per altro verso, può la banca farsi dare il denaro dal cedente, giacchè ciò costituirebbe atto di disposizione bloccato dal vincolo pignoratizio.


Non ho rinvenuto precedenti giurisprudenziali.
Spero qualcuno di voi abbia esperienza in merito.




lunedì 11 ottobre 2010

Esame di Stato '10 e ciclo di aggiornamento giurisprudenziale.

Gentili Amici e Colleghi NON Avvocati,
mi pare che il ciclo di aggiornamento giurisprudenziale non vi abbia entusiasmati.
Lo ammetto, in cor mio pensavo fosse pensiero geniale e gradito,
vicendevolmente scambiarsi le tracce dei corsi a prezzo gratuito
Purtroppo mi trovo a constatar che così non è stato
tutti leggon ma nessun apporta il suo intellettual substrato.
Mi son detto pertanto: “Per la chioma di Berenice,
il monologo non mi s’addice!”.
Atteso ciò, l’aggiornamento giurisprudenziale vilipeso
è per conto mio d’oggi in poi sospeso.
A presto e buon lavoro,
il Vostro amico d’oro.
Diego

giovedì 7 ottobre 2010

Il Foro competente per la domanda di risarcimento danni nei confronti di compagnia aerea straniera, derivante da inadempimento di contratto telematico

Cari Colleghi,
di seguito Vi propongo una questione delicata che mi accingo ad affrontare, caratterizzata da interessanti profili problematici e da rarissime elaborazioni giurispudenziali. (Inoltre, trattasi purtroppo di fattispecie assai diffusa che, sovente, si risolve a danno della parte debole).
Tizio compra un biglietto aereo con la compagnia Alfa Ltd - compagnia aerea di diritto inglese - per un viaggio da una città italiana ad una città estera. Lui arriva a destinazione. Il bagaglio no. Solo tre settimane dopo, il bagaglio viene rinvenuto presso l’aeroporto della città italiana di partenza. Tizio, che nel frattempo ha sopportato spese consistenti per rifarsi il guardaroba, decide di promuovere azione di risarcimento danni nei confronti della compagnia inglese.
La fattispecie in esame è disciplinata dalla Convenzione di Montreal 1999 sul trasporto aereo. In particolare, l’art. 19 ricorda che il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Ex art. 22.2, nel trasporto di bagagli, la responsabilità del vettore in caso di perdita è limitata alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo (come già saprete, il DSP è l’unità monetaria utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale; 1000 DSP equivalgono circa a € 1100).
Ciò premesso, il punctum pruriens consiste nell’individuazione del foro competente, atteso che Tizio vuole radicare la causa in Italia.
L’art. 33 della Convenzione stabilisce che “l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti, o davanti al tribunale del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al tribunale del luogo di destinazione”. Esistono, quindi, 4 criteri di scelta per individuare la competenza territoriale.
Posto che Alfa Ltd è società con sede legale a Londra e, in Italia, esiste solo una sede secondaria con funzioni amministrative, mi domando se il “domicilio del vettore” possa identificarsi nella sede secondaria italiana. In merito, sono tendenzialmente scettico. E’ anche vero, però, che il legislatore ha posto, in via alternativa, il foro del “domicilio del vettore” e il foro della “sede principale della sua attività”, quasi volesse distinguere la sede legale da eventuali sedi secondarie..... tuttavia, resto dell’idea che il domicilio sia dove la persona giuridica decide di imputare il centro dei propri affari e, quindi, non può che identificarsi nella sede legale della compagnia inglese.
Osservando poi il terzo criterio di scelta, la questione si complica ulteriormente. Il contratto, infatti, è stato concluso mediante piattaforma telematica nel sito www.Alfa.com e il prezzo è stato versato con carta di credito.
Siamo quindi in presenza di un contratto telematico e, se ci si vuole avvalere dell 3° criterio disposto dall’art. 33 della Convenzione di Montreal, è utile individuare il luogo in cui il vettore possiede l’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto (traduzione un po’ infelice di “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made”).
In merito, è interessante leggere il seguente scritto di CERUTTI (Il contratto telematico, p. 58-60, 2006) circa il luogo di conclusione del contratto telematico. “La determinazione del luogo di conclusione del contratto telematico presenta notevoli difficoltà riconducibili alla circostanza che internet ed il cyberspazio non sono luoghi fisici, bensì semplici mezzi di comunicazioni. La determinazione del luogo di conclusione, tuttavia, assume particolare rilievo per individuare quale sia la legge applicabile ovvero, in presenza di controversia, quale sia il giudice territorialmente competente a conoscerla. L’individuazione del luogo deve essere distinta a seconda che il contratto telematico sia stato perfezionato mediante la pressione del tasto negoziale virtuale (point and click) ovvero mediante l’invio di una email. Nel primo caso, la dottrina prevalente ritiene che il contratto concluso mediante la pressione del tasto negoziale virtuale debba ritenersi perfezionato nel luogo ove si trova il computer che ha ricevuto gli impulsi elettronici contenenti l’accettazione e, dunque, solitamente ove il prestatore dei servizi esercita effettivamente e stabilmente la sua attività economica (anche se non va dimenticato che talvolta tale computer può essere collocato presso una società terza (cd service provider) che, verso corrispettivo, gestisce ed ospita nei propri server i negozi virtuali altrui”. Ritenete condivisibile simile tesi?? Prendendo come vera questa posizione, Tizio sarebbe fregato perchè il 3° criterio dell’art. 33 finirebbe per individuare il foro inglese.
Inoltre, la dir. 2000/31/CE sul commercio elettronico, al 19° considerando, recita che “il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. Se uno stesso prestatore ha più luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato il servizio in questione. Nel caso in cui sia difficile determinare da quale dei vari luoghi di stabilimento un determinato servizio è prestato, tale luogo è quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico”. Ciò mette ampiamente in discussione anche il concetto di domicilio del vettore.....
Residua però una speranza di salvezza. Ai sensi del D.Lgs. n. 185/99, qualora una delle parti del contratto telematico sia un consumatore, l’accordo dovrà intendersi inderogabilmente concluso nel luogo di residenza di questi. (Anche se potrei avere dei dubbi circa la qualificazione di consumatore in capo al viaggiatore aereo).
Non solo. parte della dottrina ritiene che, nel caso di negozio virtuale che richiede il pagamento del corrispettivo mediante comunicazione da parte dell’acquirente dei numeri della propria carta di credito – come nel caso di specie – possa applicarsi al commercio elettronico l’art. 1327 c.c., a mente del quale il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui l’accettante invia al proponente il modulo contente il proprio numero di carta di credito valendo tale atto quale esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo (PISCITELLI).
Tutto ciò detto, siamo proprio sicuri che con “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made” possa intendersi il luogo virtuale in cui Tizio ha comprato il biglietto materialmente? E soprattutto, siamo sicuri che io, davanti al Giudice di Pace, possa con successo presentare un ragionamento partendo dal dato letterale inglese del testo originale?? Perchè, a mio avviso, nel momento in cui il Giudice legge la traduzione italiana, che allude all’”impresa”, esclude a priori l’applicabilità alla fattispecie concreta, atteso che Alfa ltd. non possiede invero alcuna impresa che ha provveduto a stipulare il contratto.
La questione è complicata ma particolarmente interessante!
Diego

Termine di costituzione opposizione a D.I.

Cari Amici,

volevo segnalarvi una sentenza di portata devastate che probabilmente già conoscerete.

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 19246 del 9 settembre 2010

I Giudici della Corte, evidentemente impazziti, hanno stabilito che il termine per iscrivere a ruolo l'opposizione a decreto ingiuntivo è sempre di 5 giorni, indipendentemente dal termine a comparire assegnato al convenuto opposto.

Lascio a voi ogni considerazione in merito. Ricordo che, se iscritta a ruolo in ritardo, l'opposizione diventa improcedibile.

Immagino il giubilo delle banche.

D.

mercoledì 6 ottobre 2010

Obbligo di custodia nel contratto d'appalto

Carissimi,
nuovo caso risolto suggerito per l'esame di Stato 2010.
Tizio concede in appalto a Alfa srl le opere di ristrutturazione del suo immobile in Viale dei Giardini. Alfa esegue gran parte dei lavori quando, per incomprensioni reciproche, le parti decidono di risolvere consensualmente il contratto. Il giorno seguente alla risoluzione, prima però che l'immobile torni materialmente nelle mani di Tizio, viene sottratta dall'appartamento la collezione di mobili dell'Ikea, di cui Tizio è ardente cultore.
Potrà Tizio far valere le proprie ragioni nei confronti di Alfa, sebbene il contratto di appalto fosse già risolto?
La risposta è scontata: Certo che sì!
Ciò in virtù del fatto che il contratto di appalto di appalto non solo è costituito da un obbligazione di facere ma anche da un obbligazione di riconsegna. Ex art. 1177 c.c., l'obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna.
Ora, il dato che il contratto sia stato risolto non fà venire meno il fatto che Alfa detiene la cosa e, pertanto, sino alla riconsegna al legittimo proprietario, è gravata di un obbligo di custodia della stessa. In merito, si esprime chiaramente Cass. 30 settembre 2009, n. 20995: "Nel caso dell'appalto, l'esaurimento o lo scioglimento, per qualsiasi causa, del rapporto da luogo, a carico dell'appaltatore, non solo all'obbligo di lasciare liberi gli immobili del committente sui quali avrebbero dovuto compiersi le opere, ma anche quello di restituire le cose mobili eventualmente ed a tal fine ricevute in consegna. Tale obbligazione, proprio perché derivante dal venir meno delle esigenze in funzione delle quali si giustificava la detenzione di tali beni, non può che sorgere nel momento in cui tale cessazione si sia verificata; ne consegue, pertanto, che, fino a quando la stessa non sia stata comunque adempiuta, mediante la consegna all'avente diritto, l'appaltatore continua, nonostante la cessazione del rapporto principale di appalto, ad essere detentore dei beni in questione e, pertanto, in forza della citata norma civilistica, tenuto alla relativa custodia".
Buona giornata!
Diego

lunedì 4 ottobre 2010

I limiti della clausola risolutiva espressa

Carissimi,
in sintesi estrema la questione di oggi.
Tizio è conduttore di un immobile di proprietà di Caio. Il contratto di locazione prevede che è fatto divieto a Tizio di apportare innovazioni all'immobile. Il contratto, inoltre, reca una clausola che recita: "Laddove il conduttore violi qualsiasi tra le obbligazioni che su di lui gravano in forza del contratto di locazione, lo stesso contratto dovrà considerarsi concluso".
Tizio, burlone, colora le pareti di rosa fluo e fora, in più punti, il portoncino d'ingresso, così da favorire la ventilazione dell'appartamento. Caio, furibondo, gli comunica l'intento di risolvere immediatamente il contratto, avvalendosi della clausola risolutiva sopracitata.
Soluzione?
Caio non può avvalersi della clausola risolutiva espressa in quanto generica ed indeterminata, in contrasto, quindi, con l'art. 1456 c.c. che allude ad una "determinata obbligazione" violata. Tale regola è confermata da abbondante giurisprudenza e, tra le varie, spicca Cass. n. 1950/2009 che recita che "solo l'individuazione specifica delle obbligazioni il cui inadempimento determina la risoluzione di diritto del contratto vale a configurare una clausola risolutiva espressa".
Saluti.
Diego

Tecniche redazionali del parere professionale

Cari NonAncoraAvvocati,
nella consapevolezza che non esista una tecnica universale per la redazione del parere, mi sorge qualche dubbio in merito ai criteri che mi stanno consigliando - o forse imponendo - ad un corso di preparazione all'esame che sto seguendo.
Sinteticamente, le regole di redazione suggerite al corso:
1) utilizzo di approccio informale: rivolgersi all'interlocutore come al Cliente (es. Egregio Sig....... come Lei mi narra...... mi riferisco a quanto mi riporta........ecc.): ho seri dubbi in merito a questo interloquire friendly;
2) non utilizzare le forme impersonali/riflessive: es. si può osservare, si evince, si rileva che ecc. (forme, invece, consigliate da Galgano e Paladini nel loro testo di pareri di diritto civile);
3) contrariamente a quanto sostenuto nel predetto testo, riportare sempre il fatto. Galgano, al contrario, sconsiglia fortemente di riepilogare il fatto.
Per ora questi sono i dubbi.
Grazie.
Diego