mercoledì 8 dicembre 2010

Differenze tra concorso eventuale nel reato plurisoggettivo e concorso necessario

Cari Amici,
a pochi giorni dall'esame mi trovo a riflettere sul seguente problema.
Qual è la sfumatura che distingue un'ipotesi di concorso eventuale di persona nel reato plurisoggettivo dall'ipotesi di concorso necessario??
Prendiamo come esempio la fattispecie della violenza sessuale di gruppo ex 609octies c.p. rispetto al 609bis c.p.
In merito, giurisprudenza del 2010 ha stabilito che per aversi violenza sessuale di gruppo non è necessario che il correo partecipi al piacere carnale, essendo sufficiente la sua presenza nel locus commissi delicti attraverso un mera attività ad adiuvandum in favore dell'autore del reato (si alludeva in particolare all'amico dell'autore che riprendeva con il telefonino lo stupro, essendo sopraggiunto per caso nel luogo della violenza) (Cass. 11560/2010).
D'altro canto, giurisprudenza del 2009 sottolineava che il concorso di persone eventuale nel reato di cui al 609bis poteva aversi solo con un apporto morale, e non materiale, del correo (nel caso di specie, il tipo faceva da palo). (anche se a me, il palo, più che un apporto morale, mi pare offra un apporto materiale, tale da essere definito ausiliatore o complice)
Ora, se indaghiamo l'elemento soggettivo, io non riesco a vedere il discrimen rispetto al caso concreto: mi pare, cioè, che colui il quale riprende col cell dia invero un apporto morale e, pertanto, dovrebbe sottostare all'ipotesi di concorso eventuale e non di concorso necessario.
In merito, sibillina si rivela la recente sentenza Cass. 15619/2010, recitando che "la commissione di atti di violenza sessuale di gruppo si distingue dal concorso di persone nel reato di violenza sessuale perchè non è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, l'accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la simultanea, effettiva presenza dei correi nel luogo e al momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile". Non capisco il senso della sentenza.... mi pareva, anzi, che per aversi concorso eventuale non fosse necessario il previo accordo dei compartecipi. Inoltre, con riferimento alla relatività del concetto di luogo, considerando il precendente citato, forse che il palo non si trovava nel medesimo locus al momento dela consumazione?
Boh, non ho proprio capito la dfferenza.
In bocca al lupo a tutti.
Diego

mercoledì 17 novembre 2010

Usucapione abbreviata in virtù della donazione di un bene altrui e l'azione di reintegrazione del detentore qualificato

Cari Amici,

mi stravio dallo studio e vi scrivo il seguente caso.

Nel 1995, Caia dona alla figlia Tizia un terreno agricolo. Tizia, da sempre dotata di pollice verde, inizia a coltivare il fondo e dimora abitualmente presso la fattoria ivi sita che, inoltre, restaura a proprie spese. Nel 2009, Tizia, causa l'avanzata senilità e la diagnosi di un male incurabile, decide di ritirarsi in città per trascorrere i suoi ultimi giorni. Affitta quindi il fondo al suo caro amico Poldo, affinché questi lo coltivi a suo piacimento e ne tragga i frutti. Di tale operazione, peraltro, non esiste traccia alcuna essendo il tutto avvenuto previo consenso verbale. Poldo comincia quindi un'attività di viticoltura, contabilmente documentabile. Tizia, inoltre, per seguire la tradizione di famiglia, redige un atto di donazione del fondo a Sempronia, una delle sue tre figlie. Una clausola prevede che il godimento del fondo decorrerà a favore di Sempronia dalla data della notifica a Tizia ovvero ai suoi eredi dell'accettazione della donazione.

Nel 2010, Mevio comunica a Tizia di essere lui il vero proprietario del bene; contestualmente, per impedire l'accesso a Poldo, provvede a recintare con filo spinato il fondo agricolo e vi installa un cancello con lucchetto. Tizia, a seguito di indagini, scopre che il fondo a lei donato risultava effettivamente di proprietà di Mevio; tale circostanza, peraltro, non era da lei facilmente conoscibile al momento della donazione.

Cosa potrà fare Tizia? Cosa potrà fare Poldo? Cosa potrà fare Sempronia?

  1. La donazione di beni altrui e l'usucapione abbreviata.

La donazione di beni altrui è fattispecie non codificata dall'ordinamento. Tuttavia, è possibile interpretare estensivamente l'ipotesi di cui all'art. 771 c.c. concernente la donazione di beni futuri. Tale previsione, infatti, stabilisce che la donazione non può comprendere che i beni presenti nella disponibilità patrimoniale del donante. E' invece nulla se comprende beni futuri.

Ciò premesso, l'art. 1159 c.c. disciplina l'ipotesi di usucapione abbreviata stabilendo che questa si compie decorsi 10 anni dall'acquisto del possesso in buona fede a non domino, ove l'acquisto sia avvenuto in forza di titolo idoneo al trasferimento del diritto e debitamente trascritto.

Resta quindi da chiarire se la donazione di beni altrui costituisca “titolo idoneo” al trasferimento del diritto.

Cass. 10356/2009: la donazione dispositiva di un bene altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell'art. 771 c.c., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione, tuttavia, è idonea ai fini dell'usucapione decennale prevista dall'art. 1159 c.c., poiché il requisito, richiesto da questa norma, dell'esistenza di un titolo che legittimi l'acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, deve essere inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il trasferimento del diritto reale, ossia che l'acquisto del diritto si sarebbe senz'altro verificato se l'alienante ne fosse stato titolare.

(si veda anche, però, Cass. 1596/2001: la donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 c.c., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell'usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c.).

Alla luce di tale elaborazione giurisprudenziale, attesa la buona fede di Tizia nel ricevimento del terreno, considerato il protrarsi del possesso in modo continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico per oltre un decennio, appurato che la donazione è stata debitamente trascritta, l'usucapione abbreviata deve ritenersi perfezionata in favore di Tizia.

  1. La tutela di Poldo

Poldo, nella qualità di affittuario del terreno, pur in assenza di un contratto scritto, risulta comunque detentore qualificato del fondo agricolo. E' legittimato, pertanto, all'esercizio dell'azione di reintegrazione di cui all'art. 1168 c.c.

Cass. 12751/2008: in tema di spoglio violento e clandestino, il detentore che agisce, ex art. 1168, comma secondo, c.c., per la reintegra, può fornire prova del titolo anche presunzioni, non essendo in discussione la validità e gli effetti del vincolo che giustifica la detenzione qualificata ma esclusivamente il fatto storico dell'esistenza del corrispondente potere di fatto sulla cosa.

Nel caso di specie, Poldo può provare l'esistenza dell'attività di viticoltura attraverso la relativa documentazione contabile.

Cass. 13270/2009: in tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione ex art. 1168 colui che, consapevole di un possesso in atto da un altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio, la signoria di fatto sul bene nel convincimento di operare nell'esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tal caso, l'animus spoliandi in re ipsa, e non potendo legittimamente invocarsi il principio di autotutela che opera solo in continenti, vale a dire nell'immediatezza di un subito e illegittimo attacco al proprio possesso.

  1. L'interesse di Sempronia

Sempronia è giovane ed inesperta. La madre Tizia, invece, ha un piede nella fossa. Un buon avvocato dovrebbe sicuramente consigliarle di affrettarsi a notificare a Tizia l'accettazione della donazione.

Cass. 10734/2010: la previsione, contenuta nell'atto con il quale il donante dispone di un bene, che l'accettazione da parte del donatario possa avvenire dopo la morte del disponente, non vale a consentire che la donazione si perfezioni dopo il decesso di costui, poiché in tale ipotesi, ove non sia ancora avvenuta la notifica dell'accettazione, non può aver luogo l'incontro delle volontà mediante il quale si realizza il perfezionamento dell'atto.
spero sia tutto giusto!
a presto
diego


lunedì 15 novembre 2010

Responabilità medica e gravi malformazioni del neonato

Cari Amici,

incoraggiato dal sollecito di Sabrina, Vi posto una complessa questioncina che raccoglie molteplici profili di riflessione e trova soluzione in almeno quattro/cinque sentenze fresche fresche.

I coniugi Caia e Tizio si recano presso Sempronio, il medico ginecologo di fiducia di Caia, per esperire un tentativo di fecondazione assistita. A tal fine, il medico suggerisce ai coniugi di recarsi presso la struttura ospedaliera Alfa, struttura da Sempronio utilizzata episodicamente per interventi. A seguito di alcune visite effettuate da Sempronio presso l'ospedale Alfa, Sempronio prescrive a Caia una terapia farmacologica; questa accetta senza peraltro essere edotta circa i particolari della cura prescritta. Caia rimane incinta. Seguono alcune visite di controllo ed ecografie, svolte da Sempronio con l'utilizzo del personale medico dell'ospedale Alfa, dalle quali non emergono anomalie. Al momento del parto, dopo un ricovero di Caia di una settimana presso Alfa, nasce un figlio focomelico. Successivamente, dalle indagini effettuate dai coniugi, si scopre che esisteva vasta letteratura medica che descriveva accuratamente gli effetti indesiderati che i farmaci somministrati a Caia potevano causare al concepito.

La fattispecie in esame presta il fianco ad innumerevoli considerazioni in ordine alla responsabilità dell'ente ospedaliero e ai rimedi esperibili da Caia. Meritano approfondimento, inoltre, i diritti che sorgono in capo al padre e la soggettività giuridica del nascituro.


1) Responsabilità dell'ente ospedaliero.

Cass. 18805/2009: ove l'istituto ospedaliero autorizzi un chirurgo o un medico ad operare al suo interno, mettendogli a disposizione le sue attrezzature e la sua organizzazione, e con esso cooperi, concludendo con il paziente un contratto di degenza e le prestazioni accessorie, esso viene ad assumere contrattualmente rispetto al paziente la posizione e le responsabilità tipiche dell'impresa erogatrice del complesso di prestazioni sanitarie. A nulla rileva che il paziente sia pervenuto all'ospedale attraverso il medico e per sua indicazione e, invero, il medico non avrebbe potuto operare se non nell'ambito dell'organizzazione ospedaliera. Accettandone l'attività, la casa di cura ha assunto le conseguenze della responsabilità.


2) Responsabilità professionale per mancata informazione.

Cass. 2847/2010: l'intervento del medico, anche in funzione diagnostica, dà comunque luogo all'instaurazione di un rapporto di tipo contrattuale. Ne consegue che, effettuata la diagnosi in esecuzione del contratto, l'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia costituisce un'obbligazione il cui adempimento deve essere provato dalla parte che l'altra affermi inadempiente e, dunque, dal medico a fronte dell'allegazione dell'inadempimento da parte del paziente. L'omessa informazione viola il diritto all'autodeterminazione del paziente. Tale diritto rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e decidere consapevolmente di interromperla. Secondo la definizione della Corte Costituzionale (sent. 438/2008), il consenso informato si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi negli artt. 2, 13 e 32 Cost. Ne deriva che la mancanza di consenso può assumere rilievo ai fini risarcitori quante volte siano configurabili conseguenze pregiudizievoli che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale di autodeterminazione in se stesso considerato.


3) Responsabilità del medico nell'esercizio della professione.

La diligenza qualificata del medico deve valutarsi secondo il combinato disposto dell'art. 1176, comma secondo, c.c e 2236 c.c., atteso che il medico è un prestatore d'opera intellettuale.

L'esistenza di “vasta letteratura” che illustrava le conseguenze della terapia ci porta ad escludere che la prestazione del medico coinvolgesse problematiche tecniche di particolare complessità.

Cass. 20806/2009: se la prestazione professionale è di routine spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze sono state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale, o da imperizia, o da inesperienza o inabilità, dimostrando invece che sono sorte a causa di un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento.


4) Mancata interruzione della gravidanza.

Cass. 13/2010: l'omessa rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve ritenersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalità con il mancato esercizio, da parte della donna, della facoltà di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio di regolarità causale che la donna, ove adeguatamente e tempestivamente indormata della presenza di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalità del nascituro, preferisca non portare a termine la gravidanza.

Cass. 2354/2010: per stabilire se i danni risarcibili sono conseguenza dell'inadempimento all'obbligo della completa informazione da parte del medico, è necessario che il giudice del merito accerti ex ante se la conoscibilità delle rilevanti anomalie e malformazioni del feto avrebbe determinato un grave pericolo della lesione del diritto alla salute della madre, avuto riguardo alle condizioni concrete fisiopsichiche patologiche della stessa, così da determinare i presupposti per attuare la tutela di tale interesse consentendo alla madre di interrompere la gravidanza. Solo nella concomitanza di tali condizioni possono essere risarciti i danni ingiusti che sono derivati, in termini di causalità adeguata, dalla lesione degli interessi tutelati dalla legge sull'interruzione volontaria della gravidanza.


5) Diritti del padre.

Cass. 13/2010: trattasi di contratto di prestazione d'opera professionale con effetti protettivi anche nei confronti del padre del concepito che, per effetto dell'attività professionale del ginecologo diventa o non diventa padre (o diventa padre di un bambino anormale). Il danno provocato da inadempimento del sanitario costituisce conseguenza immediata e diretta anche nei suoi confronti e, come tale, è risarcibile ex art. 1223 c.c.

Cass. 2354/2010: Al padre, terzo del contratto intercorso tra la madre del figlio gravemente malformato ed il medico, ma obbligato alla pari di essa nei confronti del figlio, sono direttamente risarcibili i danni provocati dall'inadempimento del medico all'obbligo di informare la madre sullo stato di salute del feto e di individuare e suggerire tutti gli strumenti diagnostici idonei a tal fine.


6) Soggettività giuridica del nascituro.

Cass. 10741/2009: per soggettività giuridica del nascituro deve intendersi una nozione più ampia di quella di capacità giuridica della persona fisica, acquistabile con la nascita ex art. 1 c.c.

Il nascituro risulta comunque dotato di autonoma soggettività giuridica perchè titolare di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, alla salute, all'integrità psico-fisica, all'onore, alla reputazione, all'identità personale ecc. Rispetto a questi diritti, la nascita è condizione imprescindibile per la loro azionabilità in giudizio ai fini risarcitori.


venerdì 22 ottobre 2010

Pignoramento presso terzi, bonifici e persistenza saldo negativo

Cari Amici,

stamane mi sono trovato a discutere una faccenda piuttosto singolare.

Ho sottoposto a pignoramento i conti correnti di un debitore della mia assistita.

La banca asserisce che vi siano 3 conti correnti e che su uno di essi, in data successiva al pignoramento, siano pervenuti € 100.000,00 di bonifici effettuati da soggetti terzi.
Asserisce tuttavia che detto conto presenta saldo tutt'ora negativo e che quindi i bonifici, che hanno colmato parte dell'esposizione, non sarebbero assoggettabili al vincolo pignoratizio.
Eccepisce inoltre che detti pagamenti sono pagamenti di crediti ceduti dal correntista alla banca con atto antecedente al pignoramento medesimo.

Ritengo io invece che i bonifici siano stati pignorati e ciò secondo il seguente ragionamento.
I bonifici sono somme provenienti al debitore da terzi, per il quale debitore la banca funge dapprima quale delegata all'incasso, poi come custode (per qualche attimo prima dell'accredito) e che solo in un secondo momento la banca "compensa" tramite annotazione nelle poste di conto.
Sulla scorta di ciò, avendo io pignorato anche le somme "detenute dalla banca" dovrei bloccare l'accredito prima che operi la compensazione. Non so se mi sono spiegato.

Quanto alla cessione del credito, eccepisco invece che mentre nella cessione la banca cessionaria indicava un conto specifico ove effettuare il pagamento, i debitore ceduto ha pagato invece presso il conto del cedente.
In pratica, ha pagato, ma ha pagato male.
La banca rimane debitrice e chi ha pagato per errore il cedente deve agire con l'indebito soggettivo.
Nel mentre però, l'accredito errato, resta pur sempre nella patrimonio del debitore pignorato e come tale viene bloccato.
Nè, per altro verso, può la banca farsi dare il denaro dal cedente, giacchè ciò costituirebbe atto di disposizione bloccato dal vincolo pignoratizio.


Non ho rinvenuto precedenti giurisprudenziali.
Spero qualcuno di voi abbia esperienza in merito.




lunedì 11 ottobre 2010

Esame di Stato '10 e ciclo di aggiornamento giurisprudenziale.

Gentili Amici e Colleghi NON Avvocati,
mi pare che il ciclo di aggiornamento giurisprudenziale non vi abbia entusiasmati.
Lo ammetto, in cor mio pensavo fosse pensiero geniale e gradito,
vicendevolmente scambiarsi le tracce dei corsi a prezzo gratuito
Purtroppo mi trovo a constatar che così non è stato
tutti leggon ma nessun apporta il suo intellettual substrato.
Mi son detto pertanto: “Per la chioma di Berenice,
il monologo non mi s’addice!”.
Atteso ciò, l’aggiornamento giurisprudenziale vilipeso
è per conto mio d’oggi in poi sospeso.
A presto e buon lavoro,
il Vostro amico d’oro.
Diego

giovedì 7 ottobre 2010

Il Foro competente per la domanda di risarcimento danni nei confronti di compagnia aerea straniera, derivante da inadempimento di contratto telematico

Cari Colleghi,
di seguito Vi propongo una questione delicata che mi accingo ad affrontare, caratterizzata da interessanti profili problematici e da rarissime elaborazioni giurispudenziali. (Inoltre, trattasi purtroppo di fattispecie assai diffusa che, sovente, si risolve a danno della parte debole).
Tizio compra un biglietto aereo con la compagnia Alfa Ltd - compagnia aerea di diritto inglese - per un viaggio da una città italiana ad una città estera. Lui arriva a destinazione. Il bagaglio no. Solo tre settimane dopo, il bagaglio viene rinvenuto presso l’aeroporto della città italiana di partenza. Tizio, che nel frattempo ha sopportato spese consistenti per rifarsi il guardaroba, decide di promuovere azione di risarcimento danni nei confronti della compagnia inglese.
La fattispecie in esame è disciplinata dalla Convenzione di Montreal 1999 sul trasporto aereo. In particolare, l’art. 19 ricorda che il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Ex art. 22.2, nel trasporto di bagagli, la responsabilità del vettore in caso di perdita è limitata alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo (come già saprete, il DSP è l’unità monetaria utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale; 1000 DSP equivalgono circa a € 1100).
Ciò premesso, il punctum pruriens consiste nell’individuazione del foro competente, atteso che Tizio vuole radicare la causa in Italia.
L’art. 33 della Convenzione stabilisce che “l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti, o davanti al tribunale del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al tribunale del luogo di destinazione”. Esistono, quindi, 4 criteri di scelta per individuare la competenza territoriale.
Posto che Alfa Ltd è società con sede legale a Londra e, in Italia, esiste solo una sede secondaria con funzioni amministrative, mi domando se il “domicilio del vettore” possa identificarsi nella sede secondaria italiana. In merito, sono tendenzialmente scettico. E’ anche vero, però, che il legislatore ha posto, in via alternativa, il foro del “domicilio del vettore” e il foro della “sede principale della sua attività”, quasi volesse distinguere la sede legale da eventuali sedi secondarie..... tuttavia, resto dell’idea che il domicilio sia dove la persona giuridica decide di imputare il centro dei propri affari e, quindi, non può che identificarsi nella sede legale della compagnia inglese.
Osservando poi il terzo criterio di scelta, la questione si complica ulteriormente. Il contratto, infatti, è stato concluso mediante piattaforma telematica nel sito www.Alfa.com e il prezzo è stato versato con carta di credito.
Siamo quindi in presenza di un contratto telematico e, se ci si vuole avvalere dell 3° criterio disposto dall’art. 33 della Convenzione di Montreal, è utile individuare il luogo in cui il vettore possiede l’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto (traduzione un po’ infelice di “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made”).
In merito, è interessante leggere il seguente scritto di CERUTTI (Il contratto telematico, p. 58-60, 2006) circa il luogo di conclusione del contratto telematico. “La determinazione del luogo di conclusione del contratto telematico presenta notevoli difficoltà riconducibili alla circostanza che internet ed il cyberspazio non sono luoghi fisici, bensì semplici mezzi di comunicazioni. La determinazione del luogo di conclusione, tuttavia, assume particolare rilievo per individuare quale sia la legge applicabile ovvero, in presenza di controversia, quale sia il giudice territorialmente competente a conoscerla. L’individuazione del luogo deve essere distinta a seconda che il contratto telematico sia stato perfezionato mediante la pressione del tasto negoziale virtuale (point and click) ovvero mediante l’invio di una email. Nel primo caso, la dottrina prevalente ritiene che il contratto concluso mediante la pressione del tasto negoziale virtuale debba ritenersi perfezionato nel luogo ove si trova il computer che ha ricevuto gli impulsi elettronici contenenti l’accettazione e, dunque, solitamente ove il prestatore dei servizi esercita effettivamente e stabilmente la sua attività economica (anche se non va dimenticato che talvolta tale computer può essere collocato presso una società terza (cd service provider) che, verso corrispettivo, gestisce ed ospita nei propri server i negozi virtuali altrui”. Ritenete condivisibile simile tesi?? Prendendo come vera questa posizione, Tizio sarebbe fregato perchè il 3° criterio dell’art. 33 finirebbe per individuare il foro inglese.
Inoltre, la dir. 2000/31/CE sul commercio elettronico, al 19° considerando, recita che “il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. Se uno stesso prestatore ha più luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato il servizio in questione. Nel caso in cui sia difficile determinare da quale dei vari luoghi di stabilimento un determinato servizio è prestato, tale luogo è quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico”. Ciò mette ampiamente in discussione anche il concetto di domicilio del vettore.....
Residua però una speranza di salvezza. Ai sensi del D.Lgs. n. 185/99, qualora una delle parti del contratto telematico sia un consumatore, l’accordo dovrà intendersi inderogabilmente concluso nel luogo di residenza di questi. (Anche se potrei avere dei dubbi circa la qualificazione di consumatore in capo al viaggiatore aereo).
Non solo. parte della dottrina ritiene che, nel caso di negozio virtuale che richiede il pagamento del corrispettivo mediante comunicazione da parte dell’acquirente dei numeri della propria carta di credito – come nel caso di specie – possa applicarsi al commercio elettronico l’art. 1327 c.c., a mente del quale il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui l’accettante invia al proponente il modulo contente il proprio numero di carta di credito valendo tale atto quale esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo (PISCITELLI).
Tutto ciò detto, siamo proprio sicuri che con “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made” possa intendersi il luogo virtuale in cui Tizio ha comprato il biglietto materialmente? E soprattutto, siamo sicuri che io, davanti al Giudice di Pace, possa con successo presentare un ragionamento partendo dal dato letterale inglese del testo originale?? Perchè, a mio avviso, nel momento in cui il Giudice legge la traduzione italiana, che allude all’”impresa”, esclude a priori l’applicabilità alla fattispecie concreta, atteso che Alfa ltd. non possiede invero alcuna impresa che ha provveduto a stipulare il contratto.
La questione è complicata ma particolarmente interessante!
Diego

Termine di costituzione opposizione a D.I.

Cari Amici,

volevo segnalarvi una sentenza di portata devastate che probabilmente già conoscerete.

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 19246 del 9 settembre 2010

I Giudici della Corte, evidentemente impazziti, hanno stabilito che il termine per iscrivere a ruolo l'opposizione a decreto ingiuntivo è sempre di 5 giorni, indipendentemente dal termine a comparire assegnato al convenuto opposto.

Lascio a voi ogni considerazione in merito. Ricordo che, se iscritta a ruolo in ritardo, l'opposizione diventa improcedibile.

Immagino il giubilo delle banche.

D.