giovedì 7 ottobre 2010

Il Foro competente per la domanda di risarcimento danni nei confronti di compagnia aerea straniera, derivante da inadempimento di contratto telematico

Cari Colleghi,
di seguito Vi propongo una questione delicata che mi accingo ad affrontare, caratterizzata da interessanti profili problematici e da rarissime elaborazioni giurispudenziali. (Inoltre, trattasi purtroppo di fattispecie assai diffusa che, sovente, si risolve a danno della parte debole).
Tizio compra un biglietto aereo con la compagnia Alfa Ltd - compagnia aerea di diritto inglese - per un viaggio da una città italiana ad una città estera. Lui arriva a destinazione. Il bagaglio no. Solo tre settimane dopo, il bagaglio viene rinvenuto presso l’aeroporto della città italiana di partenza. Tizio, che nel frattempo ha sopportato spese consistenti per rifarsi il guardaroba, decide di promuovere azione di risarcimento danni nei confronti della compagnia inglese.
La fattispecie in esame è disciplinata dalla Convenzione di Montreal 1999 sul trasporto aereo. In particolare, l’art. 19 ricorda che il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Ex art. 22.2, nel trasporto di bagagli, la responsabilità del vettore in caso di perdita è limitata alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo (come già saprete, il DSP è l’unità monetaria utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale; 1000 DSP equivalgono circa a € 1100).
Ciò premesso, il punctum pruriens consiste nell’individuazione del foro competente, atteso che Tizio vuole radicare la causa in Italia.
L’art. 33 della Convenzione stabilisce che “l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti, o davanti al tribunale del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al tribunale del luogo di destinazione”. Esistono, quindi, 4 criteri di scelta per individuare la competenza territoriale.
Posto che Alfa Ltd è società con sede legale a Londra e, in Italia, esiste solo una sede secondaria con funzioni amministrative, mi domando se il “domicilio del vettore” possa identificarsi nella sede secondaria italiana. In merito, sono tendenzialmente scettico. E’ anche vero, però, che il legislatore ha posto, in via alternativa, il foro del “domicilio del vettore” e il foro della “sede principale della sua attività”, quasi volesse distinguere la sede legale da eventuali sedi secondarie..... tuttavia, resto dell’idea che il domicilio sia dove la persona giuridica decide di imputare il centro dei propri affari e, quindi, non può che identificarsi nella sede legale della compagnia inglese.
Osservando poi il terzo criterio di scelta, la questione si complica ulteriormente. Il contratto, infatti, è stato concluso mediante piattaforma telematica nel sito www.Alfa.com e il prezzo è stato versato con carta di credito.
Siamo quindi in presenza di un contratto telematico e, se ci si vuole avvalere dell 3° criterio disposto dall’art. 33 della Convenzione di Montreal, è utile individuare il luogo in cui il vettore possiede l’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto (traduzione un po’ infelice di “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made”).
In merito, è interessante leggere il seguente scritto di CERUTTI (Il contratto telematico, p. 58-60, 2006) circa il luogo di conclusione del contratto telematico. “La determinazione del luogo di conclusione del contratto telematico presenta notevoli difficoltà riconducibili alla circostanza che internet ed il cyberspazio non sono luoghi fisici, bensì semplici mezzi di comunicazioni. La determinazione del luogo di conclusione, tuttavia, assume particolare rilievo per individuare quale sia la legge applicabile ovvero, in presenza di controversia, quale sia il giudice territorialmente competente a conoscerla. L’individuazione del luogo deve essere distinta a seconda che il contratto telematico sia stato perfezionato mediante la pressione del tasto negoziale virtuale (point and click) ovvero mediante l’invio di una email. Nel primo caso, la dottrina prevalente ritiene che il contratto concluso mediante la pressione del tasto negoziale virtuale debba ritenersi perfezionato nel luogo ove si trova il computer che ha ricevuto gli impulsi elettronici contenenti l’accettazione e, dunque, solitamente ove il prestatore dei servizi esercita effettivamente e stabilmente la sua attività economica (anche se non va dimenticato che talvolta tale computer può essere collocato presso una società terza (cd service provider) che, verso corrispettivo, gestisce ed ospita nei propri server i negozi virtuali altrui”. Ritenete condivisibile simile tesi?? Prendendo come vera questa posizione, Tizio sarebbe fregato perchè il 3° criterio dell’art. 33 finirebbe per individuare il foro inglese.
Inoltre, la dir. 2000/31/CE sul commercio elettronico, al 19° considerando, recita che “il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. Se uno stesso prestatore ha più luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato il servizio in questione. Nel caso in cui sia difficile determinare da quale dei vari luoghi di stabilimento un determinato servizio è prestato, tale luogo è quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico”. Ciò mette ampiamente in discussione anche il concetto di domicilio del vettore.....
Residua però una speranza di salvezza. Ai sensi del D.Lgs. n. 185/99, qualora una delle parti del contratto telematico sia un consumatore, l’accordo dovrà intendersi inderogabilmente concluso nel luogo di residenza di questi. (Anche se potrei avere dei dubbi circa la qualificazione di consumatore in capo al viaggiatore aereo).
Non solo. parte della dottrina ritiene che, nel caso di negozio virtuale che richiede il pagamento del corrispettivo mediante comunicazione da parte dell’acquirente dei numeri della propria carta di credito – come nel caso di specie – possa applicarsi al commercio elettronico l’art. 1327 c.c., a mente del quale il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui l’accettante invia al proponente il modulo contente il proprio numero di carta di credito valendo tale atto quale esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo (PISCITELLI).
Tutto ciò detto, siamo proprio sicuri che con “where [the carrier] has a place of business through which the contract has been made” possa intendersi il luogo virtuale in cui Tizio ha comprato il biglietto materialmente? E soprattutto, siamo sicuri che io, davanti al Giudice di Pace, possa con successo presentare un ragionamento partendo dal dato letterale inglese del testo originale?? Perchè, a mio avviso, nel momento in cui il Giudice legge la traduzione italiana, che allude all’”impresa”, esclude a priori l’applicabilità alla fattispecie concreta, atteso che Alfa ltd. non possiede invero alcuna impresa che ha provveduto a stipulare il contratto.
La questione è complicata ma particolarmente interessante!
Diego

10 commenti:

daieg ha detto...

O forse che possiamo dire che si applica il regolamento CE 44/2001, in barba sia alla pattuizione delle parti sia, quindi, alla Convenzione di Montreal e pertanto, ai sensi dell'art. 16, si riconosce al consumatore l'INDEROGABILE diritto ad essere convenuto solo esclusivamente innanzi al giudice nazionale? Posto sempre che il viaggiatore aereo sia un consumatore.

Carletto ha detto...

L'analisi di Cerutti (ma era quello di gino e l'alfetta?) inizia con una affermazione illuminante dalla quale poi prende conclusioni sconclusionate. Internet è un semplice mezzo di comunicazione per cui mi sembra un abominio parlare di "impulsi elettronici" che arrivano al destinatario: tralasciando il fatto che le tecnologie ad impulsi non esistono più nemmeno per i semplici telefoni di casa, dal passo che hai citato sembra che venga fatta una destinazione tra mail ed e-commerce. Perché? Che differenza c'è? Dal punto di vista tecnico nessuna, si tratta sempre di richieste di un client (il pc di colui che acquista) e risposte di un server (il server mail od il server che ospita l'e-commerce a seconda dei casi). E' il tipo di risposta che cambia: in genere la mail ha una risposta generata da una persona in carne ed ossa, che può anche essere terzo rispetto alla società od impresa che vende, mentre nel caso dell'e-commerce la risposta è automatizzata, quindi generata da un software. A questo punto, seguendo il ragionamento di Cerutti, bisognerebbe coinvolgere anche chi ha prodotto il software, dal momento che difficilmente in questi casi viene venduto il codice sorgente (il software in sé stesso) ma viene solamente concessa una licenza d'utilizzo. La soluzione che propongo è quella di trattare il contratto telematico come un contratto telefonico, anche se sinceramente non saprei quali siano la giurisprudenza e la dottrina prevalenti in questo campo. Diciamo che a mio avviso non rileva la collocazione dei server: non conosco la normativa, ma certamente se concludo un contratto telefonico tra Treviso e Catania, in nessun caso il foro competente sarà nella centrale di smistamento del backbone che sarà più o meno all'altezza di Roma. Allo stesso modo i server sono solo un elemento di passaggio della comunicazione tra due personevisto che i dati prima o poi dal server verrano spediti alla compagnia aerea, altrimenti come potrebbero sapere che il cliente ha acuqistato il volo? Ho scritto un po' male ed in fretta ma spero di essere stato chiaro. Se ci sono degli aspetti che vi interessa approfondire sono a disposizione!

daieg ha detto...

Carissimi,
perdonate il ritardo nel riscontrare il post di Carlo.
Dopo approfondimenti vari, concordo con Carlo nell'impossibilità di considerare la sede del server quale luogo di riferimento per la competenza giurisdizionale. Resto abbastanza convinto, inoltre, dell'applicazione del principio generale del luogo in cui il proponente ha conoscenza dell'accettazione. Resta però un ultimo profilo, sempre con riferimento al 3° criterio dell'art. 33 Conv. Montreal: siete proprio sicuri che il luogo dove il proponente ha conoscenza dell'accettazione sia negli UK? Cioè, secondo Voi, la compagnia aerea con sede a Londra e con sito in italiano, estensione .com/it, riceve a Londra le richieste di prenotazione? Non ha più senso che ogni stato abbia una sua "centrale di gestione nazionale" delle prenotazioni e che tale centrale corrisponda, se vogliamo, al place of business through which the contract has been made? Potrebbe essere l'ultima chance. Viceversa, non esistono a mio avviso possibilità per radicare la causa in Italia. Anzi, si potrebbe pensare ad una illegittimità della norma in esame, atteso che infinita giurisprudenza nazionale e comunitaria ha ribadito l'inderogabilità del foro del consumatore.
grazie.
diego

D. ha detto...

Ripeto, come ho avuto modo di dire parlando a tu per tu con Diego, che NON E' RILEVANTE il luogo di perfezionamento del contratto.
Leggete attentamente la convenzione.
Parlando di diritto, direi atteniamoci alla norma: "Luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto" non è il luogo dove si perfeziona il contratto.
Se quindi, come mi pare di aver capito, il sito è "proprio" della ditta, allora è quel sito a costituire "l'impresa che ha provveduto a stipulare il contratto" (ricordo infatti che la traduzione corretta sarebbe il "luogo d'affari", quindi la filiale o il ramo, sicché non vedo perché un sito non possa costituire a sua volta una filiale "dematerializzata").
Quindi la questione, secondo il mio modesto avviso è: dove si trova un sito internet dal punto di vista giuridico?
Se non ricordo male, occorre far riferimento al dominio...donde la risposta... ".com".

daieg ha detto...

Carissimo D.
hai perfettamente ragione, ho stupidamente mescolato due concetti che mantengono due significati giuridici diversi.
Mi limito a citare il caro Ballarino: "nel cyberspazio non rileva che un sito sia localizzato sul territorio di un paese piuttosto che di un altro, e nella rete in cui opera internet gli hypertext consentono di visitare un numero infinito di luoghi situati nei più diversi paesi. si oltrepassa infinite volte la frontiera degli Stati senza accorgersene. Dunque viene esclusa la frontiera e con essa tutto ciò che ha caratterizzato la vita di relazione internazionale nella fase recente della storia dell'umanità. [wowow!]"
Se da una parte concordo con il tuo argomento della "filiale dematerializzata", ho invece dei dubbi che l'estensione .com piuttosto che .it possa essere riconducibile ad un'area geografica.......
Diego

D. ha detto...

Francamente del Ballarino me ne frego abbastanza.
... :)
Secondo me occorre vedere dov'è il sito "giuridicamente".
Non saprei come rispondere però, perché non ho sotto mano giurisprudenza idonea.

Carletto ha detto...

Come già spiegavo, il sito non è un sito! Cioè non è un luogo fisico e nemmeno virtuale, ma solo un mezzo di comunicazione. Quindi non è possibile dire che il mezzo di comunicazione non può essere in nessun caso ricondotto ad un ramo dematerializzato dell'azienda. Per quanto riguarda i domini di primo livello (.com, .it, etc...) essi non sempre sono riconducibili ad un paese, ad esempio .com sta per commercial, .org sta per organization e non sono legati in nessun modo al paese che richiamano nel nome. Io posso tranquillamente registrare un dominio .it con un registrant polacco che punta ad un server cinese che non fa altro che fare un redirect ad un hosting negli Stati Uniti... dove sta il sito? Se poi proprio volete sapere dove sta il sito "giuridicamente", il codice risiede nel server che si occupa dell'hosting (che nel caso di specie difficilmente sarà in Italia) e comunque non la ritengo una soluzione idonea in quanto può ben essere che il sito sia composto da codice proveniente da diversi server. E allora che si fa? Alla fine la soluzione è trattare internet come quello che è: un mezzo di comunicazione che mette in contatto due soggetti.

daieg ha detto...

Se così è, come dice Carletto, si finisce per escludere l'applicazione del 3° criterio di scelta previsto dall'art. 33 della Convenzione di Montreal. Pertanto, si conclude che Tizio non può adire le vie legali italiane; tutto ciò in gran spregio del foro del consumatore. Mi immagino la pressione delle lobbies in sede di redazione della Convenzione di Montreal. Si potrebbe quindi aprire una nuova parentesi sulla validità del contratto telematico, laddove non sia stata prevista la "sottoscrizione" esplicita della clausola che esclude la competenza giurisdizionale del foro del consumatore. Non si andrebbe peraltro da nessuna parte, considerato che il contratto furbescamente prevede "la compentenza non esclusiva" del foro inglese.

D. ha detto...

In effetti diventa problematico.
Faccio comunque presente che, in Italia, il sito di e-commerce viene di fatto trattato giuridicamente proprio come una filiale dematerializzata con sede nel server.
Escludo infine che il contratto stipulato via internet possa essere parificato al contratto stipulato via corrispondenza.
Ragionerò comunque sulla questione, ma sono sempre più orientato a osservare il "legami" giuridici piuttosto che quelli "fisici".

daieg ha detto...

Perdonate la giocosa facezia ma non avevo mai sentito D. dire "in effetti diventa problematico". Sono orgoglioso di aver postato una questione "problematica"!!

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