giovedì 19 marzo 2009

contratto di opzione di rivendita di azioni non quotate

Egregi colleghi buonasera.
La questione su cui oggi mi sto scervellando è particolarmente piacevole e si offre a molteplici interpretazioni. Allora, un bel giorno Tizio, amministratore della Società Beta, vende alla Società X un tot. di azioni della società beta. Tizio, nello specifico, vende un diritto di opzione di rivendita delle stesse, da esercitarsi entro un periodo prefissato (opzione americana), ad un prezzo strike prestabilito di 2mln e rotti €. L'opzione di rivendita è da esercitarsi solo nei confronti di Tizio stess. Nel frattempo, tuttavia, si verifica una drastica riduzione del capitale sociale della società Beta (una riduzione dell'85% del capitale sociale). La Società X, entro la data prefissata, esercita il proprio diritto e fa una put option a Tizio al prezzo prefissato che è del 10% più alto del prezzo di acquisto originario.
Problema: Tizio, dopo la riduzione, ha un valore insignificante di azioni in mano, mentre la Società x gli chiede il valore originario delle azioni comprate quando ancora il capitale era intatto, maggiorato del 10%.
Ne deriva che Tizio non vuole assolutamente pagare.
Problema: può una drastica riduzione del capitale sociale interferire sul quantum prefissato in un contratto di opzione di rivendita di azioni????
Ho già appurato che, per quanto verosimile, il tasso del 10% non rientra in un tasso di usura.
Ora cerco di percorre la strada dell'eccessiva onerosità sopravvenuta. Sto consultando, a tal fine, gli ultimi tre bilanci per cercare di dimostrare che l'andamento ottimo della società è stato interrotto da un fatto straordinario ed imprevedibile quale la riduzione del capitale sociale. ma barcolla... perchè Tizio è amministratore della società Beta... e quindi dovrebbe essere in grado di prevedere l'andamento della stessa...
Sento che può esserci una soluzione nell'art. 1503c.c. ma ancora sono lontano.
Vi auguro una buona serata,
Diego

13 commenti:

D. ha detto...

Ti riscontrerò a breve, avendo io già affrontato il distinto problema: "può la riduzione a valori prossimi allo zero del valore delle quote di una s.r.l. influire sull'esecuzione di un preliminare di compravendita di quote?" Lasciami tempo che ti rispondo...

daieg ha detto...

Grande D.! Lasciando quindi in attesa il punto circa l'influenza di una riduzione di capitale sociale (punto che tra l'altro devo ancora vedere), sono giunto forse ad una soluzione del mio problema: art. 1503c.c
Ora si tratta di capire se alla fattispecie descritta possa applicarsi l'art. 1503 c.c. Infatti nel mio caso non ho una vendita con patto di riscatto (perche manca un diritto potestativo in capo al venditore originario; è già prefissato che l'acquirente potrà, in quanto esercizio dell'opzione, rivendere al venditore originario le azioni con la put option). Piuttosto ho un patto di retrovendita. Quindi, se l'art. 1503 si può applicare anche al patto di retrovendita, io ho risolto il mio problema...

Anonimo ha detto...

Sbaglio o nel patto di retrovendita deve, a differenza del mero esercizio di riscatto, intervenire anche il consenso del "futuro" acquirente.
Mi pare che nel tuo caso sia in re ipsa la volonta di Tizio a non acquistare.
"Ne deriva che Tizio non vuole assolutamente pagare" mi dici.
Orbene, forse è necessario concentrarsi sulla flebile distinzione tra diritto di opzione (nel tuo caso di acquisto) e preliminare "unilaterale" sia per la diversa natura giudirica, che per gli effetti e le tutele riconosciute dall'ordinamento giuridico.

D. ha detto...

A mio parere, qualora non fosse escluso dal titolo, saremmo di fronte ad un caso di eccessiva onerosità sopravvenuta. Mi chiedo però una cosa...il perchè di questa operazione...perchè se lo scopo fosse quello di un mutuo...e quindi le azioni passassero a titolo di garanzia...beh...mi pare sia il buon vecchio patto marciano...che comporta illiceità dell'oggetto e conseguente nullità...no?

Anonimo ha detto...

Al di là delle ipotesi più disparate in materia, ricordo che la riduzione di capitale sociale ricorre solo in due ipotesi: per esuberanza o per perdite.
Ora, la prima ipotesi è da escludere.
Rimane l'ipotesi delle perdite che, nel tuo caso, si sono determinate credo grudualmente nel corso degli anni.
Nel caso di specie corre pertanto la necessità di precisare il termine fissato per l'esercisio del diritto di opzione (1 anno, due anni.....) e contemporanemante verificare la situazione patrimoniale e reddituale della società.
Predetta analisi è fondamentale al fine di poter sostenere un'eventuale azione di risoluzione per ecc. onerosità.
Azione che tuttavia ritengo poco accorta.

daieg ha detto...

Rscontro Anonimo e D.
Correttamente, nel mio caso, è chiara la volontà di Tizio di non pagare. Quanto al consenso del futuro acquirente, è vero che deve esserci.. però nel caso di specie il consenso c'è già con la prima vendita. è infatti un contratto di rivendita in opzione. quindi il "primo" consenso opera ex nunc. A nulla, pare, valga un eventuale ulteriore consenso successivo, in sede di riacquisto delle azioni in seguito alla put. il consenso è già stato dato, infatti nella retrovendita ci troviamo di fronte ad un contratto che subito si perfeziona, e segue un contratto "preliminare".. quindi, purtroppo, non penso serva il consenso dell'acquirente che, ovviamente, non ha più soldi per pagare vista la riduzione del capitale. Per D., invece, lo scopo non è di garanzia. Il venditore necessita di liquidità ipotizziamo. vende 2ml di azioni per avere subito 2ml di liquidità per realizzare operazioni di investimento. entro la data prefissata, si impegna a ricomprarle (supponendo che i 2ml investiti in altro siano magari raddoppiati).
SAluti

D. ha detto...

Caro Diego...ed infatti quello che tu descrivi è proprio un mutuo. Se io vendo una cosa per avere della liquidità, con l'accordo che poi sono obbligato a ricomprarla a prezzo maggiorato...beh...quello è proprio un mutuo con cessione di res a scopo di garanzia...non a caso il patto di retrovendita è lo stratagemma maggiormente utilizzato per mascherare un patto marciano (tra l'altro la giurisprudenza di legittimità sul punto è sterminata). Peraltro non capisco come tu possa associare la riduzione di capitale alla carenza di liquidi in capo a Tizio...Vorrai forse dire che ora Tizio si trova a dover comperare una cosa ad un prezzo spropositato. Ebbene, sappiate che il Tribunale di Pordenone, in caso analogo (preliminare di compravendita di quote di s.r.l. con successiva perdita di valore delle stesse, tanto che il promissario acquirente rifiuta il definitivo), ha statuito la nullità del preliminare per assenza dell'elemento dello scambio...e, quindi, per assenza di causa.
Ciononostante, insisto ritenendo l'intera operazione nulla per violazione del divieto di patto commissorio (d'altronde è nota la mia testardaggine!)...ne consegue che, a mio parere, la promozione di un'azione giudiziale ti porterà alla buona vecchia riduzione in pristino...

daieg ha detto...

Innanzitutto ringrazio tutti per la partecipazione che, noto, sta ulteriormente espandendosi! Non ritengo si configuri un mutuo vero e proprio. Vi sono interessi sottesi differenti. Io ho citato la liquidità ma è una mera mia supposizione. Invero, gli interessi potrebbero essere svariati. Il più logico ad esempio, è che la Società compratrice abbia interesse ad esercitare il diritto di voto all'interno della Società per un anno e mezzo, periodo per l'appunto di durata del contratto di rivendita in opzione con termine prefissato per l'esercizio della put option. La retrovendita, nello specifico, può avere duplice rilievo: di garanzia ovvero di scambio. Nel caso di specie, ritengo assuma la seconda sfumatura. Io do a te 2mln per un tot. Tu in quel tot eserciti i diritti di voto e relativi ulteriori diritti connessi al possesso di tali azioni. Entro una tal data o in una data prefissata, io ti ricompro tali azioni + un x percentuale. 10% per la precisione. Non v'è alcuna relazione tra i due soggetti, nessun obbligo di eseguire una prestazione per il cui mancato adempimento possa scattare la maggiorazione del prezzo.. Così, la caratterizzazione dello scambio, anzichè della garanzia, pare escludere il patto marciano. Secondo me, invece, il punto su cui premere è la sentenza del tribunale di Pordenone che mi suggerisci!

D. ha detto...

Cari colleghi,
riprendo il filo della questione da dove era stato interrotto. Procedendo secondo buon senso, non insensibile alle osservazioni di FRANZ e dell'Anonimo, mi sono chiesto quale sia il nostro intento in termini di pronuncia giudiziale.
Evidentemente, è nostro interesse tenere in piedi il contratto, giacchè la nullità e/o risoluzione del contratto comporterebbe evidenti obblighi restitutori: Tizio dovrebbe versare alla controparte la somma corrisposta ab origine per il trasferimento delle quote e la Società dovrebbe restituire le quote stesse (oramai prive del valore originario).
Se così accedesse, con la caducazione del contratto, Tizio - rispetto al normale adempimento della retrovendita - risparmierebbe solo la seguente somma: prezzo di vendita - 10% dello stesso - valore attuale delle quote.
Uniche alternative più favorevoli a Tizio sono: attaccare esclusivamente la clausola di retrovendita, permettendo così alla parte restante del contratto di rimanere in piedi, ovvero addossare la colpa della eventuale caducazione del contratto alla controparte, così da poter formulare una domanda risarcitoria da detrarre, eventualmente, in compensazione, rispetto a quanto Tizio sarà tenuto a pagare in forza degli effetti restitutori.
La prima via, ossia attaccare la clausola in sè, mi pare francamente impraticabile, anche in ragione del fatto che, caduta la clausola, non si realizza la condizione essenziale per la sopravvivenza del contratto "claudicante" e ciò che le parti, senza la clausola, avrebbero comunque stipulato.
La seconda via, ossia addossare la colpa alla controparte, può, a mio avviso, prendendo lo spunto da quanto espresso da FRANZ, essere ricondotta solo al periodo in cui controparte ha esecitato il diritto di voto al posto di Tizio e solo in relazione alla circostanza nefasta della riduzione del capitale. Tale soluzione, che pure vedo come improbabile, potrebbe attecchire solo laddove la riduzione del capitale sia sopravvenuta a seguito di una gestione societaria scellerata durante il periodo in cui le quote erano in proprietà di controparte (che quindi - votando - ne è responsabile, pure ex 1375 c.c.).
Come anticipato, tali soluzioni, mi paiono, francamente, poco realizzabili.
Da punto di vista prognostico, pertanto, mi pare assai probabile che le uniche soluzioni plausibili siano le due già anticipate: risoluzione e nullità.
Quanto alla prima, memore di quanto osservato da FRANZ, ricordo che il fatto che determina l'eccessiva onerosità deve essere sopravvenuto ed imprevedibile (difficile crederlo in questo caso).
Quanto alla mia amata nullità, segnalo, ex pluris, Cass., sez. II, 08-02-2007, n. 2725: "Una vendita stipulata con patto di riscatto o di retrovendita è nulla se il versamento del denaro da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall’art. 2744 c.c., e la sua causa illecita ne determina l’invalidità ai sensi degli art. 1343 e 1418 c.c.".
Saluti.

daieg ha detto...

Cari colleghi buongiorno. Innanzitutto mi scuso per il ritardo nel riscontrarvi ma è stata una settimana di fuoco. Provo a fare il punto della situazione.
Innanzitutto una precisazione (e scusate se ostento con pervicacia la mia ottusa convinzione!!) I contratti options – ma anche i contratti futures – individuano specifici contratti caratterizzati dal tipico scopo speculativo e, talvolta, assicurativo (mediante il quale, cioè, gli operatori di mercato intendono coprire i rischi assunti). La speculazione ovvero l’arbitraggio in nulla conferisce con il concetto di garanzia. Preciso: volendo, tutto può farsi di nascosto ma in tal caso si rientra nella simulazione e non mi pare la fattispecie concreta.. Legalmente parlando, tuttavia, la speculazione è essenziale al buon funzionamento del mercato, in quanto assicura liquidità e gli arbitraggi escludono divaricazioni tra prezzi pronti e prezzi a termine. E’ infatti riconosciuto che i contratti di options, in generale, non solo siano meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322,2° ma siano altresì parte immanente e fondamentale dell’ordine pubblico economico. Da qui, la categoria generale dei “contratti derivati”. La speculazione e l’arbitraggio a cui accenno, peraltro, non si svolge inter partes ma su un piano differente. Manca, pertanto, il carattere della garanzia, al cui cospetto scatta correttamente il divieto di patto commissorio. Ciò detto, che cos’è il contratto di opzione? E’ un contratto con cui le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia la facoltà di accettarla o meno. Nello specifico, siamo di fronte ad una put option, dove cioè il beneficiario può decidere se esercitare o meno la sua opzione (consistente nel rivendere al venditore) ovvero non esercitarla (e quindi tenersi le azioni comprate). Si attribuisce quindi all’oblato un potere di decisione unilaterale sulla formazione del futuro contratto senza necessità di ulteriori pattuizioni: il patto di opzione contiene l’obbligo irrevocabile del concedente di rispettarlo. Tornando alla fattispecie richiamata, mi pare che le soluzioni siano le seguenti: 1) invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta. L’ipotesi, tuttavia, è inverosimile, in quanto il nostro concedente è amministratore della Società, sicché l’imprevedibilità delle perdite è difficilmente configurabile. Purtroppo, peraltro, tali perdite non corrispondono alla c.d. crisi economica ma sono anteriori. L’eccessiva onerosità sopravvenuta, infatti, poteva invocarsi se causa ne fosse stata la crisi di cui tanto si parla: evento straordinario ed imprevedibile a chi non fosse parte dell’ingranaggio corrotto ed elitario che oggi è repentinamente crollato. 2) riduzione del capitale sociale e conseguente modifica dell’oggetto dell’obbligazione. Questo punto mi pare il più forte. Invero, come già sapientemente notato nei precedenti post, la sottoscrizione della riduzione è stata votata dallo stesso beneficiario della put option. Come saggiamente D. mette in evidenza, la Società beneficiaria è potenzialmente “complice” della scellerata amministrazione che ha condotto alla riduzione. 3) il patto di retrovendita. Questa soluzione mi pare difficilmente percorribile ma, se lo fosse, sarebbe risolto ogni problema. Posto che chi mi ha preceduto ha già chiarito i profili della retrovendita, io cerco di ragionare nei seguenti termini: l’art. 1503c.c. prevede che il titolare del diritto di riscatto lo eserciti previa offerta reale entro 8 gg. Ora, la retrovendita non è disciplinata dal codice ma verosimilmente ricalca la strada del riscatto. Quindi, contestualizziamo il 1503 come una retrovendita; chi esercita il diritto di riscatto non è più il venditore ma l’acquirente. Con questa inversione tra i soggetti titolari del diritto di “azione” non stiamo disegnando la fattispecie originaria della rivendita in opzione??!! Non è forse la retrovendita un contratto options?? O forse esiste una differente ratio che mi sfugge tra i due istituti? Secondo me questo è l’interrogativo cruciale. Se esistessero i presupposti per procedere in analogia, allora la rivendita in opzione dovrebbe essere preceduta da un offerta reale entro 8 gg cosi come previsto dal 1503.
Buona giornata cari colleghi!!!!

D. ha detto...

Caro Diego, devo chiederti alcuni chiarimenti. Per quali motivi è stato ridotto il capitale sociale? E poi...quanto tempo è passato tra la delibera e l'esercizio dell'option? (metti mai che si possa configurare una responsabilità per dolo o addirittura di inadempimento per violazione della buona fede..ciò però solo dimostrando che la riduzione del capitale era strumentale allo scopo di mettere a bilancio un'operazione di vendita al doppio del valore effettivo del bene, con conseguente contabilizzazione del relativo utile....).
Quanto all'applicazione del 1503 c.c. mi pare difficile. Da quello che ho capito, ma correggimi se sbaglio, si applica il 1331 c.c. (così anche T. Torino 27.06.1997), con ogni evidente conseguenza,ossia: tu sei inchiodato alla pattuizione originaria.

Anonimo ha detto...

Come antcipato al fine di risolvere il quesito proposto da Diego era necesssario soffermarsi sulla non netta distinzione tra diritto di opzione e preliminare "unilaterale".
Comparata analisi non di poco conto considernado che l'eventuale azione di risoluzione per eccessiva onerosità che ...forse forse.... non si può così pacificamente ipotizzar per la prima ipotesi.
Orbene, oltre quanto detto per l'opzione, escludo si possa esercitare un'azione per eccesiva onerosità, perché carente dei presupposti della sopravvenienza ed imprevedibilità.
Concordo con la risoluzione tracciata dal D., trattandosi pacificamente di ipotesi di contratto reale unilaterale di mutuo a garanzia a causa illecita.
Illiceità determinata dalla chiara volontà di eludere il precetto ex art. 2744 c.c., sicché nullo.

daieg ha detto...

Concordo definitivamente con Franz sulla inopportunità di perseguire la via dell'eccessiva onerosità sopravvenuta, causa la prevedibilità dell'evento di perdita. In merito invece alla questione garanzia, insisto sull'assenza del concetto nella fattispecie che si configura meramente come scambio. Tale distinzione, avvalorata nel risalente giudizio del 1917 Bocconi-Rinascente, esclude il patto commissorio ove non vi sia dall'altra parte un adempimento o una prestazione qualsiasi. Ammetto che il concetto sia debole e aggirabile dall'intento delle parti, però nel nostro caso manca un oggetto della presunta garanzia. Quanto alla distinzione tra opzione e preliminare unilaterale posso abozzare l'idea che nel preliminare sia necessaria una nuova manifestazione di volontà, laddove nell'opzione il beneficiario può definire il contratto comunicando semplicemente la propria accettazione. In tal senso Cass. 11/10/86 n. 5950. Distinzione veramente labile ma pur sempre significativa nel caso concreto (nell'opzione basta un fax??!!)..Infatti nello specifico è con una lettera che si esercita tale diritto. Quanto a D., purtroppo la mia interpretazione del 1503 è davvero artata e disperata. La verità è infatti che si applica il 1331...però configurandosi pur sempre una potenziale retrovendita, non vedo perchè il 1503 non potrebbe supplire il 1331 nelle sole "modalità" di esercizio dell'opzione: quindi con la necessità di un offerta reale che nella specie non è stata fatta...Lo so, mi arrampico sugli specchi ma è un po' il nostro lavoro no?? Ps: la riduzione precede di sei mesi l'esercizio dell'opzione!

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